Per tutta la seconda guerra mondiale il mio incubo costante è stata la fame. Già dalla mattina, quando andavo al forno, ingoiavo in un baleno e due panini forniti dalla “tessera”. E poi acqua, acqua per saziare il mio stomaco quasi sempre vuoto.
Un giorno vengo a sapere che un una fattoria distante qualche chilometro dalla casa di noi sfollati si vende del latte. Corro anch’io con due fiaschi; tanta è la pena che faccio con due occhiaie fonde da denutrita che un vecchietto mi allunga la mano e mi fa la carità: cinquanta centesimi.
Resto di sasso, mi sale la commozione alla gola e do libero sfogo al mio pianto. Sogno una tazza di latte caldo e non solo per me, ma a casa c’è mio padre, sfuggito ai rastrellamenti, e mia madre che mi aspettano in ansia. Ma nella fretta cado e i due fiaschi di latte vanno in frantumi. Tanto è il dolore che mi distendo in un fosso e aspetto di morire.
A tarda notte cominciano le ricerche e vengo trovata nella scarpata del fosso senza forze.
N.A.
N.A.
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